Bond argentini: condannata Intesa San Paolo a restituire agli investitori 238.500,00 euro
I nostri assistiti si erano tutelati avanti al Tribunale di Pisa per lamentare la nullità del contratto inter partes e la violazione della normativa in materia finanzaria (TUF).
In particolare, gli stessi avevano dedotto di aver acquistato nel tempo (ovvero tra il 1996 ed il 2000), dietro – ogni volta – sollecitazione dei funzionari dell’Intesa San Paolo, obbligazioni della Repubblica Argentina per importi consistenti, loro rappresentate come prive di qualsivoglia rischio e con garanzia del capitale, e di essere invece poi incappati nel noto default che aveva sostanzialmente azzerato il loro investimento. Indi, i clienti addebitavano alla Banca la violazione di una serie di norme di settore (cfr. TUF) sulla base tanto della legge n. 1/1991 che del successivo decreto legislativo n. 58/1998.
Indi, i nostri rappresentati avevano chiesto al Tribunale di Pisa di accertare e dichiarare il loro diritto al rimborso del capitale investito, oltre interessi maturati, previa restituzione dei titoli e detrazione delle cedole nel frattempo percepite.
E il Tribunale di Pisa, nella persona della Dott.ssa Laura Pastacaldi, con sentenza n. 1121 del 6 novembre 2019, in accoglimento della domanda spiegata ha rilevato quanto appresso: “E’ stato infatti costantemente ribadito, fin dalla entrata in vigore della L. 1/1991, che la stipulazione del contratto quadro costituisce un necessario presupposto di validità dell’ordine, giacché gli obblighi informativi previsti dalla legge sono introdotti nel rapporto, ex art. 1374 c.c., mediante tale contratto, con la conseguenza che la mancata stipulazione in forma scritta del contratto quadro comporta la nullità degli ordini di acquisto per mancanza di causa, giacché il contratto quadro costituisce il fondamento causale degli ordini impartiti dall’investitore all’intermediario finanziario i quali, pur se conclusi in forma scritta, sono nulli qualora non siano preceduti dalla stipulazione di un contratto quadro in forma scritta.
L’obbligo di forma scritta, prima dell’entrata in vigore del TUF, è stato rinvenuto proprio nell’art. 6 c. 1 lett. c) L. 1/1991: “Detto contratto, pertanto, da distinguere rispetto alle operazioni di compravendita a pronti o a termine aventi direttamente ad oggetto valute, è nullo ove non stipulato in forma scritta, come prescritto dall’art. 6, comma 1, lett. c, della legge n. 1 del 1991, fermo restando che è sufficiente che in forma scritta sia stato stipulato il contratto normativo di servizi, nel quale risultino la natura dei servizi forniti, le modalità di svolgimento dei servizi stessi e l’entità e i criteri di calcolo della loro remunerazione, nonché le altre condizioni particolari convenute con il cliente; sicché, una volta assolto l’onere del rispetto della forma per il contratto normativo di servizi, i singoli negozi speculativi di esecuzione del contratto di servizi non debbono necessariamente essere stipulati per iscritto” (Cassazione civile, sez. I, 19/5/2005, n. 10598). Tale strumento negoziale ha acquisito il nomen iuris di ‘contratto-quadro’ e corrisponde, sostanzialmente, all’“accordo base scritto con il cliente in cui vengano fissati i diritti e gli obblighi essenziali dell’impresa e del cliente” di cui al considerando 41 della direttiva 2006/73/CE della Commissione, del 10 agosto 2006, recante modalità di esecuzione della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i requisiti di organizzazione e le condizioni di esercizio dell’attività delle imprese di investimento e le definizioni di taluni termini ai fini di tale direttiva. La pronuncia citata ha motivato nel modo seguente l’applicazione della sanzione della nullità per il caso di mancanza di forma scritta del contratto – quadro: “La norma [si legga, l’art. 6, L. 1/1991] ha carattere imperativo, sì che ne discende la nullità del contratto di servizi d’investimento che non rispetti l’obbligo della forma scritta. In proposito il Collegio non può condividere quanto affermato, in via di obiter dictum, da una recente sentenza di questa Sezione (la già citata Sez. I, 9.1.2004, n. 111, rv. 569326), secondo la quale il legislatore del 1991 non avrebbe introdotto una prescrizione di forma ad substantiam, che avrebbe semmai dovuto riferirsi a ciascuna contrattazione in sé considerata, bensì una disposizione volta a disciplinare la correttezza dei comportamenti dell’intermediario in funzione dell’obbligo di adeguata informazione del cliente: una disposizione, cioè, la cui eventuale inosservanza non avrebbe potuto esser causa di nullità dei contratti oralmente stipulati, ma solo di sanzioni amministrative a carico dell’intermediario scorretto e, se del caso, di un obbligo di risarcimento in favore del cliente danneggiato. Cass. 111/04 ha argomentato sia dal titolo e dalla formulazione letterale dell’art. 6 legge 1/1991 (rispettivamente riferiti ai “principi generali e regole di comportamento degli intermediari” ed allo “svolgimento delle loro attività”), sia dalla disposizione del successivo art. 9, comma 3^, che abilitava la Consob ad ulteriormente determinare con proprio regolamento le regole di comportamento in caso di mancata predeterminazione per iscritto dei termini del contratto. Ha tratto inoltre spunto dal raffronto con la normativa posteriore, perché solo successivamente il legislatore, prima con l’art. 18 del d. lgs. n. 415 del 1996, e poi con l’art. 23 del d. lg. n. 58 del 1998, ha dettato norme specificamente riferite alla forma dei contratti aventi ad oggetto servizi d’investimento prestati in favore degli investitori, specificando che si tratta di nullità relativa di cui solo il cliente è legittimato a dolersi. In senso contrario si può rilevare che l’art. 6 lett. c) legge 1/1991 fa espresso obbligo all’intermediario autorizzato di stipulare il contratto per iscritto, imponendo un preciso obbligo di forma, obbligo che rende applicabile l’art. 1350 n. 13 c.c., che comporta la nullità per difetto di forma scritta degli “altri atti specialmente indicati dalla legge”. Proprio la circostanza che la disciplina successivamente intervenuta con i D.lgs. 415/1996 e 58/1998, preveda la nullità (invocabile dal solo cliente) del contratto che non abbia rispettato l’obbligo di forma, è chiaro indice che anche la disciplina precedentemente in vigore non abbia disposto diversamente. L’art. 9, comma 3, della legge 1/1991 stabilisce che Consob determina con il regolamento previsto dal secondo comma della norma “le regole di comportamento da osservare nel caso in cui il cliente non abbia preventivamente e per iscritto conferito gli ordini di acquisto o di vendita ovvero non abbia predeterminato per iscritto in tutto o in parte gli elementi dell’operazione da porre in essere nonché ogni altra regola da osservare al fine di regolare le ipotesi di conflitto di interessi”. Il regolamento in parola è stato emanato da Consob con deliberazione 9.2.1994, n. 8850. Esso peraltro, pur disciplinando al capo III, negli ‘artt. 5-11, i rapporti dell’intermediario con i clienti, e pur regolando in particolare all’art. 7 i contratti con i clienti, non contiene alcuna norma che stabilisca le sorti dei contratti stipulati in violazione dell’obbligo di forma scritta. Ne discende che deve trovare applicazione la regola generale sancita dall’art. 1350 n. 13 c.c.. Anche a voler ritenere che il legislatore del 1991 abbia lasciato a Consob la facoltà di stabilire le specifiche ipotesi in cui la violazione dell’obbligo di forma non comportava nullità del contratto, resta che l’Autorità competente non si è avvalsa di tale possibilità, e che debbono pertanto trovare applicazione le regole generali. La violazione della forma scritta non può non comportare la nullità del contratto”
La nullità del contratto discende quindi dalla normativa generale, che la dispone, appunto, per il caso di violazione di norme imperative, in base al combinato disposto degli artt. 1350 comma 1 n. 13 e 1418 cc..
Nel caso di specie Intesa San Paolo spa non ha contestato che non sia stato stipulato un contratto – quadro in forma scritta.
Ne consegue la nullità del medesimo, per difetto della forma scritta, che si estende anche a tutti gli ordini di investimento, contratti in strumenti derivati e ad ogni altro atto concluso in esecuzione del contratto quadro. Questo in quanto la giurisprudenza ritiene che: “in tema di intermediazione mobiliare, la nullità dell’accordo quadro comporta la nullità di tutti gli atti esecutivi derivati” (Tribunale di Modena, sent. 19/8/2015 n. 1426; conf. ex multis: Tribunale di Terni, sentenza 7/11/2014; Tribunale di Torino, sentenza 5/7/2013; Cass. civ. sez. I, sent 22/03/2013 n. 7283: “In tema di intermediazione finanziaria, ed alla stregua di quanto sancito dall’art. 23 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, sono nulle, per carenza di un indispensabile requisito di forma prescritto dalla legge a protezione dell’investitore, le operazioni di investimento compiute da una banca in assenza del cosiddetto “contratto quadro”, senza che sia possibile una ratifica tacita, che sarebbe affetta dal medesimo vizio di forma”).
Durante il rapporto fra le parti è poi entrato in vigore il TUF, che all’art. 23, ha espressamente previsto la sanzione della nullità. La banca convenuta, tuttavia, nemmeno allora si è adeguata alla normativa, posto che non risulta essere mai stato concluso un contratto – quadro in forma scritta. Né essa ha allegato tale circostanza”.
Da qui la conclusione del Giudice che “La domanda principale di accertamento e dichiarazione di nullità va quindi accolta, con assorbimento delle domande subordinate proposte dagli attori. Ne conseguono le obbligazioni restitutorie”.
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Foto di Antoni Shkraba