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Nullità fideiussioni e decadenza ex art. 1957 c.c.

Nullità fideiussioni e decadenza ex art. 1957 c.c.

Applicabilità della decadenza sia alle fideiussioni che ai contratti autonomi di garanzia.

Come noto, la Banca d’Italia – avente le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi degli artt. 14 e 20 della legge n. 287 del 1990 (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la legge n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2006) –, con provvedimento n. 55 del 2.5.2005 ha dichiarato la contrarietà dello schema contrattuale ABI (elaborato nel 2003) – contenente quelle clausole cosiddette di “sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia dei termini di cui all’art. 1957 c.c.” – all’art. 2 della legge n. 287/1990. 

La giurisprudenza di legittimità e di merito si è fino ad oggi divisa fra chi ritiene che tali nullità investano l’intero contratto e chi invece lo limita alle sole clausole in questione.

In entrambi i casi assai rilevante è il disposto di cui all’art. 1957 c.c. per il quale: “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate. La disposizione si applica anche al caso in cui il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale. In questo caso però l’istanza contro il debitore deve essere proposta entro due mesi. L’istanza proposta contro il debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore”.

Infatti, alla declaratoria di nullità dell’intero contratto o, comunque, di detta clausola (anche in relazione agli artt. 33, commi 1 e 2, lett. t, del Codice del Consumo), consegue la necessità che l’Istituto di Credito dia prova, a pena di decadenza, di essersi tutelato giudizialmente nei confronti del debitore e/o del fideiussore entro il termine di cui sopra (cfr. Tribunale di Padova, 29.1.2019; Tribunale di Firenze, 7.11.2019; ABF, Collegio di Milano, 4.7.2019; Tribunale di Firenze, 11.12.2019; Tribunale di Catania, 13.12.2019).

Al riguardo non è, infatti, sufficiente una diffida o, comunque, una istanza stragiudiziale, e ciò anche ove ci si trovi al cospetto di un contratto autonomo di garanzia (che per essere qualificato tale deve contenere sia la previsione dell’obbligo di pagamento a prima richiesta che quella della rinuncia alle eccezioni) e non di una fideiussione.

Sul punto significativa la sentenza del Tribunale di Firenze n. 1856 del 12.6.2019, secondo la quale “Il predetto arresto giurisprudenziale” (ovvero quello volto a ritenere, invece, in presenza di contratto autonomo di garanzia, sufficiente una istanza stragiudiziale per interrompere il termine di cui all’art. 1957 c.c. – cfr. Cass. n. 22346/2017) “non tiene volutamente in considerazione – come del resto affermato dallo stesso Collegio – della storica interpretazione del termine istanze di cui all’art. 1957 cc – costantemente inteso come azione giudiziaria – ritenendo sufficiente la proposizione di mere richieste stragiudiziali di adempimento entro il termine di sei mesi. Inoltre, in modo del tutto arbitrario, reputa applicabile solo la prima parte della norma, omettendo di considerare che l’art. 1957 cc non solo prevede che il creditore coltivi le proprie istanze ma, altresì, che le continui: attività quest’ultima che malamente si concilia con quella di avanzare mere richieste, solleciti di pagamento o atti di messa in mora(se davvero il termine istanze dovesse essere in tal modo interpretato), ma che invece ben si coniuga con l’attività giudiziale che, secondo l’interpretazione tradizionale del precetto codicistico, è imposta al creditore per evitare la decadenza. A parte le incongruenze appena evidenziate nel principio appena richiamato, si ritiene che non vi sia alcuna incompatibilità e/o contraddizione tra la clausola del pagamento a semplice o prima richiesta inserita nella polizza fideiussoria e il disposto di cui all’art. 1957 cc richiamato dai contraenti nel medesimo contratto, neppure secondo l’esegesi tradizionale e rigorosa applicata dalla giurisprudenza di legittimità a tale norma. Invero, la clausola a semplice richiesta(o a prima chiesta), unitamente a quella senza opporre eccezioni, possiede l’attitudine a rendere il contratto stipulato tra le parti funzionalmente indirizzato a fornire al soggetto garantito l’indennizzo pattuito a fronte dell’inadempimento da parte del debitore principale, precludendo al garante di avanzare qualsiasi eccezione rispetto al rapporto di valuta. La autonomizzazione dei rapporti tra garante e garantito da una parte, e tra debitore e garantito dall’altra, è pertanto piena sotto il profilo dell’assenza di accessorietà, tanto che il garante non avrà alcuna diritto di attingere a vicende e fatti intercorsi tra garante e debitore per paralizzare la semplice richiesta avanzata da garante. In altri termini, l’art. 1957 cc, nel caso in questione, non riverbera alcun effetto sulla divisata autonomia dei rapporti, ma incide esclusivamente sulle modalità di azione del creditore garantito, imponendogli un onere di agire giudizialmente contro il debitore quale presupposto per l’escussione della polizza che continuerà – malgrado il richiamo alla norma codicistica, e una volta assolto dal garantito tale onere – ad essere contratto autonomo qualificato dalla possibilità per il garantito di escutere la polizza a semplice richiesta: intesa, tale ultima locuzione, come preclusione per il garante di opporre eccezioni relative al rapporto di valuta. Onere di azione che potrà anche essere contestuale alla richiesta di escussione della polizza, essendo sufficiente, secondo il programma negoziale voluto dai contraenti, che il garantito si attivi ‘anche’ nei confronti del debitore. In siffatto contesto, allora, sebbene la norma di cui all’art. 1957 cc sia considerata dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza come espressione della accessorietà della fideiussione rispetto al rapporto garantito, qualora apposta ad un contratto autonomo di garanzia non ne snatura la causa – quella di garantire il beneficiario in modo incondizionato a fronte dell’inadempimento del debitore e di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole o meno – e non appare con esso incompatibile. Suffraga tale interpretazione la norma di cui all’art. 2956 cc che implicitamente prevede per le parti, nella loro autonomia negoziale, la facoltà di stabilire termini di decadenze convenzionali purché non rendano eccessivamente difficile per il creditore l’esercizio del diritto: evenienza riscontrabile nel caso in questione ove i contraenti, derogando volutamente alle Condizioni Generali di Assicurazione, richiamarono appunto il primo comma dell’art. 1957 cc”.

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Foto di Andrea Piacquadio

 

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